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Alta Formazione in Sardegna. Atti del Convegno di Studi Giovani Ricercatori (Sassari, 16 dicembre 2011)

9/7/2014

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Questo volume contiene una sintesi dell’incontro promosso dall’Università di Sassari sulle ricerche portate avanti dai nostri giovani ricercatori: un’occasione straordinaria di conoscenza, un bilancio e insieme una prospettiva verso il futuro. La Giornata di presentazione dei risultati della ricerca dei Giovani Ricercatori, che si è svolta il 16 dicembre 2011 presso l’Aula Magna dell’Università, è stata a buon diritto inserita fra i principali eventi promossi in coincidenza con le celebrazioni del 450° anno dalla nascita del Collegio Gesuitico, alle origini dell’Ateneo turritano. Nel corso di due sessioni sono state esposte le ricerche co-finanziate con fondi del POR Sardegna del Fondo Sociale Europeo 2007-2013 e sulla legge regionale n. 7 del 2007 per la promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna.

Si tratta di ricerche condotte con forte motivazione e rigore nel corso del biennio 2010-2011 da tanti giovani promettenti, portate avanti in modo autonomo e indipendente, ma con la supervisione di responsabili scientifici appartenenti ad Università e ad Enti di ricerca.

L’evento, pensato dai borsisti di ricerca che facevano capo all’antico Dipartimento di Storia dell’Ateneo sassarese, si è poi aperto alla partecipazione di ricercatori di altre strutture anche del sud dell’isola. Questo importante momento di confronto e di crescita ha avuto come filo conduttore la Storia, da quella più antica a quella contemporanea, rappresentata nelle sue varie sfaccettature negli interventi dei 19 giovani studiosi che hanno aderito all’invito degli organizzatori.

Voglio esprimere l’apprezzamento per i risultati raggiunti, che testimoniano una qualità, una tensione, un impegno che è nostro dovere sostenere e incoraggiare. L’auspicio è che la Regione Autonoma della Sardegna continui ad investire nella ricerca e nei ricercatori, giovani e meno giovani, che con tanta abnegazione e spesso fra mille difficoltà portano a compimento, come il protagonista dell’Eneide, i propri munera: il motto del nostro Ateneo, dopo l’approvazione del nuovo statuto, è appunto susceptum perfice munus.

Sassari, Pasqua 2014
Attilio Mastino - Rettore dell’Università degli Studi di Sassari

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Contributi di:

La “Giornata di presentazione dei risultati della ricerca dei Giovani Ricercatori”
Attilio Mastino

I “Giovani Ricercatori”: uno sguardo d’insieme sulle loro attività
 Alessandro Teatini

La viabilità nella Sardegna romana tra le stationes di Hafa e Molaria
Marilena Sechi

Religione e culti della Sardegna in età romana. Note su alcuni aspetti e problematiche
Chiara Pilo, Romina Carboni

Aspetti culturali della Nurra di età storica: il caso delle cosiddette sepolture ad enchytrismos
Emiliano Cruccas

Le necropoli di Turris Libisonis
Emanuela Cicu

Partecipare alla salvaguardia del patrimonio con il Sistema Informativo Territoriale Archeologico di Porto Torres
Enrico Petruzzi

Geo-Informatica per l’individuazione dei Paesaggi Storici. L’asta del Rio Mannu di Porto Torres
Federico Nurra

GIS OS per lo studio della viabilità antica nel Sulcis: applicazioni di analisi spaziale con GRASS e Qgis
Ilaria Montis

Essere uomini, diventare donne: i Lidi di Coricio di Gaza tra storia e riflessione sui meccanismi di costruzione dell’identità individuale
Simona Lupi

I culti orientali nell’Africa romana: alcune considerazioni tra archeologia ed epigrafia
Alberto Gavini

I reperti ceramici tardoantichi e medievali dagli scavi dell'area di San Pietro a Bosa. Relazione preliminare – campagne 1995 e 2003

Laura Biccone, Alessandro Vecciu

Gli Ebrei Sefarditi e i loro rapporti  con le comunità religiose nell'area dello Stretto di Gibilterra
Marianna Piras

Informatica umanistica e documentazione d’archivio: i Cabrei dell’Archivio di Stato di Cagliari
Maria Clara Cominacini

Inventari digitali e archivi virtuali, due esempi: l’Inventario del Capitolo cattedrale di Alghero e l’Archivio Virtuale degli atti sinodali medievali sardi
Alessandra Derrii

Finanza e fiscalità nel Regno di Sardegna (1323-1355): strumenti e metodologia di ricerca
Fabrizio Alias

Ceti emergenti e dinamiche sociali nel bacino metallifero dell'Iglesiente tra Ottocento e Novecento
Giampaolo Atzei

L’alta formazione, spina dorsale della società sarda futura
Luciano Cicu

Nota dei curatori
Emanuela Cicu, Alberto Gavini, Marilena Sechi
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Alessandro Soddu, Incastellamento in Sardegna. L'esempio di Monteleone

12/12/2013

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Edificato intorno al 1272 dai Doria nella regione del Nurcara (nella Sardegna nord-occidentale, alle spalle di Bosa), il castello di Monteleone costituisce un significativo esempio del fenomeno dell'incastellamento, che nell’isola è più tardo rispetto a quello documentato nell'Italia centrale e settentrionale (secoli X-XII).

Già durante il periodo giudicale il Nurcara è oggetto delle strategie dei giudici e dell'aristocrazia locale, sia in ambito interno che in relazione con gli ordini monastici e con gli stessi Doria. L’affermazione di questi ultimi, nella seconda metà del Duecento, detta il cambiamento: la costruzione del castrum su un colle disabitato ha l’effetto di catalizzare il popolamento, mentre nel distretto l'insediamento, prima di carattere sparso, si concentra in una serie di villaggi. Monteleone, con il relativo borgo retto da un podestà, diventa così il fulcro politico-militare ed economico di un ampio territorio, guadagnandosi anche il ruolo di baluardo della signoria dei Doria dopo la conquista catalano-aragonese di Alghero nel 1354, accogliendo probabilmente parte delle popolazioni espulse dalla stessa Alghero a favore dei nuovi pobladors iberici.

Nella seconda metà del Trecento le strategie dei Doria si intrecciano, attraverso la politica matrimoniale, con quelle del giudicato di Arborea. La resa di Monteleone (1435) e la conseguente defunzionalizzazione del castello, prelude alla riorganizzazione feudale della regione, il cui aspetto, tra XIV e XV secolo, venne stravolto dagli eventi bellici e da ondate epidemiche che causarono l'abbandono di quasi tutti i centri abitati, sopravvivendo solo quelli (tuttora esistenti) di Monteleone, Villanova e Romana.
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Durante l'età giudicale, nella seconda metà dell'XI secolo, la riorganizzazione del territorio in Sardegna, a cominciare dalle diocesi, si impernia su insediamenti rurali. La continuità di molti centri abitati, urbani ruralizzati o ville (villas), che si espandono fino a divenire sedi vescovili o raggiungere il rango di centri di riferimento del potere nei regni giudicali, non segue processi né omogenei né lineari. Tanto meno è sempre chiara la dinamica di formazione di molti dei nuovi puntiformi insediamenti, nati probabilmente in seguito all’espansione demografica che si ipotizza avesse segnato la curva della popolazione anche nell’isola.

Il movimento di colonizzazione dell’incolto e di rioccupazione delle aree costiere precede l’ondata monastica della seconda metà dell’XI secolo. La stessa geografia della distribuzione delle comunità religiose rivela le strategie di fondo della colonizzazione con un vuoto eloquente nelle aree interne e una concentrazione nelle terre popolate. Gli insediamenti comprendono vaste proprietà imperniate sulle domos, aziende in produzione con un serbatoio di uomini a cui attingere per lo sfruttamento delle diversificate risorse agricole e talvolta manodopera artigianale specializzata.

Nel rapporto tra i monaci e i recenti regni isolani le tensioni spirituali del movimento di riforma si fondono con le istanze di legittimazione del potere dei giudici: nel saldo patto di solidarietà instaurato la cura animarum si rivela funzionale strumento nell’inquadramento del territorio e della popolazione sparsa delle campagne anche per il potere laico.

Sotto il profilo amministrativo, il territorio si presenta compiutamente articolato in curatorìas, circoscrizioni amministrative composte da un insieme di villaggi non uniformi per numero, consistenza demografica e statuto. L’organizzazione, risultato della pulviscolare distribuzione della popolazione sul territorio, rivela la debolezza della configurazione delle comunità rurali, che nelle carte dell’XI-XII secolo faticosamente si vanno costruendo uno spazio identitario.

Le villas risultano immerse in una realtà dominata dai grandi possedimenti fondiari e dalle domos, le aziende sulle quali poggia il sistema produttivo signorile, dell’aristocrazia locale o di enti religiosi. Rette sulla manodopera servile, le domos, si allargano su ampie quote di terre demaniali, il serbatoio a cui i giudici attingono con frequenti stralci (la cosiddetta secatura de rennu) a beneficio di membri del proprio clan familiare, dei majorales e della Chiesa per costituire o ingrandire i patrimoni.

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Rosaba Di Meglio, Ordini mendicanti, monarchia e dinamiche politico-sociali nella Napoli dei secoli XIII-XV

10/30/2013

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Il "fenomeno mendicante" ebbe a Napoli un carattere unitario, sia per i tempi e i modi della sua diffusione e dei rapporti che ebbe con la monarchia e con le istituzioni politiche e sociali cittadine, sia soprattutto per come fu percepito dal laicato. Molti devoti si sentirono infatti legati non ad un solo Ordine, ma a tutto il variegato mondo dei frati; il che non impedì che ogni convento si ritagliasse un ruolo suo proprio attraverso il legame organico con il quartiere in cui era inserito e, soprattutto, con il seggio nobiliare che vi esercitava una forte egemonia sul piano sociale e politico.

Napoli però fu soprattutto la città nella quale la dialettica politico-sociale e la vita religiosa erano condizionate dalla presenza della monarchia, che cercò il consenso dei sudditi anche attraverso il sostegno agli Ordini religiosi che esercitavano su di loro una maggiore influenza.

Monarchia, nobiltà, ceti popolari: questi i destinatari di un’opera di animazione religiosa multiforme e connotata anche di forti componenti etico-politiche, che i Mendicanti condussero a Napoli attraverso percorsi complessi, seguendo i quali si va al di là dell’ambito religioso e si penetra nella storia di una città dotata di una identità forte e originale.
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Nei decenni finali del secolo scorso la storiografia sugli Ordini mendicanti, molto interessata a cogliere le motivazioni sociali del loro successo, ha mirato, come ha osservato di recente Giulia Barone, a valorizzare gli elementi cha accomunano le varie famiglie religiose, invece delle differenze che, sia pur nel contesto di un quadro storico unitario, esistevano tra di loro. Oggi va emergendo una tendenza in senso contrario, rispetto alla quale questo libro, che parla ancora nel titolo di "Ordini mendicanti" in rapporto ad un ben definito contesto sociale e territoriale, va nella direzione opposta, e ciò non perché su tematiche di questo genere la storiografia relativa al Mezzogiorno sia da sempre in ritardo rispetto a quella che si occupa di altre realtà italiane ed europee né, tantomeno, per il gusto di andare controcorrente, ma per il semplice motivo che in una città come Napoli, per le ragioni che spero emergano chiaramente da quanto si dirà più avanti, il "fenomeno mendicante" ebbe un carattere fortemente unitario, sia per i tempi e i modi della sua diffusione e dei rapporti che ebbe con la monarchia e con le istituzioni politiche e sociali cittadine, sia soprattutto per come fu percepito dal laicato e dal mondo ecclesiastico. Intanto la penetrazione degli Ordini mendicanti a Napoli fu più precoce rispetto al resto del Mezzogiorno, dove raggiunse una certa consistenza solo nella seconda metà del Duecento, laddove nell’Italia centro-settentrionale i frati avevano già conseguito posizioni di forza intorno agli anni Trenta dello stesso secolo. La storiografia tradizionalmente ha collegato questo ritardo con la situazione politica del tempo, caratterizzata dallo scontro tra Federico II e il Papato, al cui fianco si schierarono soprattutto i Minori e i Predicatori, e il successivo aumento delle fondazioni conventuali all’appoggio fornito ai frati dai sovrani angioini. Giovanni Vitolo alcuni anni fa ha riaperto però la questione sulla base di analogie da lui riscontrate con quanto avvenne in un’area molto distante dal Regno, vale a dire il Piemonte, dove essi giunsero con altrettanto ritardo: ritardo che Grado Giovanni Merlo ha ricondotto alla capacità delle istituzioni ecclesiastiche diocesane e del monachesimo vecchio e nuovo di continuare a dare, nella prima metà del Duecento, una risposta ai fermenti religiosi che percorrevano la società locale. Un fenomeno analogo Vitolo ha ritenuto che possa aver giocato un qualche ruolo anche in l’Italia meridionale, dove Verginiani, Pulsanesi, Florensi e varie congregazioni monastiche del XII secolo a più limitato raggio d’azione, cui si aggiunsero successivamente Cistercensi e Celestini, operarono una forma assai efficace di animazione religiosa del laicato...
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Jacob Burckhardt, The Civilization of Renaissance in Italy

8/29/2013

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Carl Jacob Christoph Burckhardt (May 25, 1818 - August 8, 1897) was a historian of art and culture, and an influential figure in the historiography of each field. He is known as one of the major progenitors of cultural history. Siegfried Giedion described Burckhardt's achievement in the following terms: "The great discoverer of the age of the Renaissance, he first showed how a period should be treated in its entirety, with regard not only for its painting, sculpture and architecture, but for the social institutions of its daily life as well." Burckhardt's best known work is The Civilization of the Renaissance in Italy (1860).
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This work bears the title of an essay in the strictest sense of the word. No one is more conscious than the writer with what limited means and strength he has addressed himself to a task so arduous. And even if he could look with greater confidence upon his own researches, he would hardly thereby feel more assured of the approval of competent judges. To each eye, perhaps, the outlines of a given civilization present a different picture; and in treating of a civilization which is the mother of our own, and whose influence is still at work among us, it is unavoidable that individual judgement and feeling should tell every moment both on the writer and on the reader. In the wide ocean upon which we venture, the possible ways and directions are many; and the same studies which have served for this work might easily, in other hands, not only receive a wholly different treatment and application, but lead also to essentially different conclusions. Such indeed is the importance of the subject that it still calls for fresh investigation, and may be studied with advantage from the most varied points of view. Meanwhile we are content if a patient hearing is granted us, and if this book be taken and judged as a whole. It is the most serious difficulty of the history of civilization that a great intellectual process must be broken up into single, and often into what seem arbitrary categories in order to be in any way intelligible. It was formerly our intention to fill up the gaps in this book by a special work on the 'Art of the Renaissance', an intention, however, which we have been able to fulfill only in part.

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Pinuccia F. Simbula, L'organizzazione portuale di una città medievale: Cagliari XIV-XV secolo

11/22/2012

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Il volume propone lo studio dell’organizzazione del porto di Cagliari e del suo funzionamento attraverso gli inediti statuti che tra il XIV e il XV secolo ne regolavano le attività. I nuovi ordinamenti, in seguito alla conquista catalano-aragonese, dal 1329 sostituirono l’antico Breve Portus Kallaretani di età pisana e per due secoli costituirono il testo di riferimento per l’organizzazione del porto che al testo si rivolgevano per consultare le tariffe da riscuotere sulle merci a seconda delle nazionalità degli operatori commerciali, privilegi, diritti di ancoraggio per i bastimenti che entravano in porto, giurisdizione sulle acque, criteri di amministrazione e modalità di registrazione contabile. Merci, rotte e uomini si intrecciano sullo sfondo della capitale del regno sardo, serbatoio di materie prime e derrate alimentari e osservatorio privilegiato sul Mediterraneo nella fase di riassetto delle rotte che disegnano funzioni e gerarchie dei porti nel sistema degli scambi tardo medievali.
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Pinuccia F. Simbula insegna Storia medievale e Storia della navigazione e del commercio medievali nell’Università degli studi di Sassari. I suoi principali ambiti di ricerca riguardano la storia economica, sociale e politica del Mediterraneo basso medievale, con particolare riferimento alla Corona d'Aragona. Su questi temi ha pubblicato monografie, edizioni di fonti e saggi nei quali ha approfondito aspetti della produzione e dello sfruttamento delle risorse economiche. I suoi interessi toccano anche questioni sociali, culturali e materiali connesse alla navigazione medievale e, più recentemente, le problematiche relative ai sistemi portuali, ai rapporti con le aree di produzione e alla funzione degli scali nelle dinamiche degli scambi commerciali mediterranei.

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Alessandro Soddu - Enrico Basso, Notai genovesi in Sardegna. Il cartulare di Francesco da Silva (1320-1326)

11/19/2012

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Il notaio Francesco da Silva roga a Castelgenovese (odierno Castelsardo) e nel territorio di pertinenza, l’Anglona, fra il 1321 ed il 1326. Attraverso l’edizione e l’analisi del cartulare (un complesso di 106 atti), Alessandro Soddu e Enrico Basso offrono un quadro nitido sulla società, l’economia, il popolamento e le istituzioni della Sardegna nord-occidentale del primo quarto del XIV secolo. Enrico Basso propone uno studio articolato della fonte sotto l’aspetto paleografico e diplomatistico, esaminando la vita e l’attività pubblica del Da Silva, nella duplice veste di notaio privato e di cancelliere di Brancaleone Doria. Alla signoria dei Doria a Castelgenovese e in Anglona è dedicato il saggio di Alessandro Soddu, che ricostruisce l’origine delle fortune della casata genovese in Sardegna e analizza quindi i caratteri del loro dominio locale, puntualizzandone gli aspetti sociali ed economici, sullo sfondo delle vicende mediterranee del Trecento.

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Alessandro Soddu (Sassari, 1967) è ricercatore e docente di Storia medievale presso il Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione dell’Università di Sassari. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Storia all’Università Pompeu Fabra di Barcellona. La sua attività di ricerca è rivolta allo studio dei poteri signorili e delle dinamiche insediative nel basso medioevo con particolare riferimento alla Sardegna.

Enrico Basso (Genova, 1961) è ricercatore e docente di Storia medievale presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Torino. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Storia medievale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. La sua attività di ricerca è incentrata sullo studio dell’espansione commerciale genovese nel bacino del Mediterraneo e nell’Europa dei secoli XIII-XV.

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Mauro G. Sanna, Papato e Sardegna durante il pontificato di Onorio III (1216-1227)

11/10/2012

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L’epistolario di Onorio III (1216-1227) con la Sardegna è uno strumento importante non solo per la storia della Chiesa ma per quella tout court dell’isola, sia perché costituisce l’assoluta maggioranza delle fonti disponibili per il periodo sia perché è ricco di informazioni riguardanti la politica pontificia. Nella penuria documentaria che caratterizza questa fase della storia della Sardegna, gli 88 documenti sopravvissuti relativi a questo papa consentono di ricostruire anche numerosi avvenimenti politici e istituzionali sviluppatisi nel decennio del suo pontificato che altrimenti resterebbero nell'oblio. Grazie all'osservatorio papale cogliamo la progressiva e inarrestabile penetrazione pisana in Sardegna, e ricostruiamo anche i rapporti che intercorrono tra la Sede apostolica, la Sardegna e Pisa negli anni del suo pontificato, durante il quale si sviluppa l'impresa della V Crociata, che vede anche il coinvolgimento di alcuni importanti personaggi isolani.

Le lettere di Onorio III consentono di seguire la sua politica di riaffermazione teorica e pratica della sovranità della Sede apostolica sull’isola in continuità con i suoi predecessori, soprattutto con Innocenzo III al quale è succeduto sul soglio pontificio. Onorio prosegue nello scontro obbligato con Pisa che, un tempo alleata del Papato - tanto da essere definita dagli stessi pontefici “seconda Roma” -, dopo aver abbracciato a partire dalla seconda metà del XII secolo la causa imperiale, si è trasformata in una pericolosa nemica. Nonostante la costante energia profusa, il pontefice, che pure ottiene la riconferma della fedeltà vassallatica da parte dei giudici, mantenendo la salvaguardia dei diritti della Sede apostolica almeno sul piano giuridico, nella pratica non riesce a rovesciare la posizione di forza dei Pisani, raggiunta durante quasi due secoli di intensi rapporti con l’isola.

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Questo volume rappresenta il secondo tassello di quella che ancora aspira a diventare un'edizione completa dei documenti pontifici del XIII secolo relativi alla Sardegna. Il primo contributo è costituito da Innocenzo III e la Sardegna, ormai uscito quasi dieci anni fa che nasceva quasi natural­mente dall'esperienza del Dottorato di ricerca in Storia medievale conse­guito presso l’Università di Cagliari. Come in quello, prima dell'edizione documentaria, il lettore troverà una introduzione divisa in due parti: la pri­ma descrittiva delle fonti e l'altra propriamente storica dove cerco di ana­lizzare quelli che secondo me sono gli aspetti salienti della politica di Ono­rio III nei confronti della Sardegna. A corredo del testo ho posto due ap­pendici cronotattiche, tre tabelle di sintesi sui documenti, una carta della Sardegna con i confini giudicali e diocesani e ovviamente l'indice dei nomi di luogo e di persona...

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Leonardo Carriero, La città medievale

10/25/2011

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Storia urbana, economica e sociale della Napoli bizantina (X secolo). La Napoli pre-normanna (la cui popolazione si sarebbe aggirata, secondo una stima di P. Arthur, sui 15-20000 abitanti) è da ritenersi tra gli esempi meglio documentati e meno studiati di insediamento cittadino nell’Italia Meridionale. Caratteristiche sono la complessità urbana, la variegata composizione sociale ed il tessuto economico precocemente attivo. L’analisi iniziale delle fonti, condotta finora con alcuni sondaggi tematici per il solo secolo X, mostra una città con edifici sviluppati in altezza, una significativa presenza di bagni, strutture di approvvigionamento idrico e di smaltimento dei rifiuti. L’attestazione di due mercati cittadini, di diversi magazzini e botteghe, e di un’area portuale molto estesa è un chiaro segno di dinamismo economico. È possibile ricostruire la struttura urbanistica di alcuni quartieri della città e la diversa vocazione economica e sociale delle singole zone.
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Prima di studiare le caratteristiche insediative, economiche e sociali di una città medievale è necessario enunciare che cosa si intenda per città: non esiste infatti una definizione di insediamento urbano che sia accettata da tutti gli studiosi. Se per le città contemporanee e occidentali i dubbi vanno per lo più dissolvendosi, grazie a ben più ampie riflessioni su capitalismo, mercato e tipi di società, per quanto riguarda il Medioevo questo rimane un terreno fortemente dibattuto.
Molto spesso gli studiosi del Medioevo tengono presente il criterio anticamente usato per classificare i centri urbani, secondo il quale una città non era radicalmente dissimile da una civitas (nell’Occidente latino) o una polis (nell’Oriente greco) di epoca romana

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Giuseppe Manno, Storia di Sardegna

9/8/2011

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Giuseppe Manno (Alghero 1786 - Torino 1868) fu segretario per gli Affari di Sardegna nel 1817, ministro per gli Affari interni per la Sardegna nel 1821, Consigliere della Corona e Consigliere nel Supremo Consiglio di Sardegna nel 1823. Sotto Carlo Alberto gli fu assegnato l’incarico di precettore di storia dei duchi di Savoia e Genova e gli fu conferito il titolo di barone. Nel 1847 fu eletto presidente del Senato piemontese. Storico e politico sardo.
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Le prime origini delle nazioni coperte sono di tenebre anche presso a quei popoli i quali ebbero in tempo scrittori atti ad investigare le cose antiche, ed a tramandare ai posteri li fatti celebri della loro età. La greca mitologia, impadronitasi d'una gran parte delle scarse ed inesatte tradizioni dell'antichità, volendo tutto abbellire, ha tutto svisato, dimodoché più inestricabile riesce il viluppo che incontrasi nel separare dall'ingombro dei racconti favolosi l'impercettibile germe di verità talvolta racchiusovi. Non è dunque da meravigliare se la storia di un paese, qual è la Sardegna, privo nell'antichità di illustratori propri, presenti a chi fassi ad indagarne i primi tempi molta oscurità; e se, passate essendo nelle sue terre colle greche colonie le greche illusioni, non inferiore alla mancanza sia l'incertezza degli storici monumenti. A chi non voglia perciò lasciarsi sedurre dal bagliore dei nomi eroici ed a chi rinunciare non sappia a quella severa critica, la quale libra anche le più rispettabili autorità, forza è l'avanzarsi con cauto ragguardamento nella disamina delle classiche narrazioni, nelle quali più facile fia nulla omettere che tutto accettare. Molti dei sardi scrittori , invece di arrestarsi a tale difficoltà, cedettero alle lusinghe della fantasia, ed impiegando maggior diligenza che discernimento nel raggranellare quanto l'antichità ci lasciò, poco curarono la strana mescolanza delle gesta mitologiche, purché un tal quale collegamento ne derivasse  d'epoche istoriche. In tal modo la frequente gara d'occupazione che insanguinar dovette talvolta in quel tempo i lidi della Sardegna, nobilitata fu col nome di alcuni semidei; e noi goder possiamo tutto il conforto d'una ridente immagine laddove i nostri primi antenati sperimentarono forse tutta la durezza delle calamità.
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