Edificato intorno al 1272 dai Doria nella regione del Nurcara (nella Sardegna nord-occidentale, alle spalle di Bosa), il castello di Monteleone costituisce un significativo esempio del fenomeno dell'incastellamento, che nell’isola è più tardo rispetto a quello documentato nell'Italia centrale e settentrionale (secoli X-XII).
Già durante il periodo giudicale il Nurcara è oggetto delle strategie dei giudici e dell'aristocrazia locale, sia in ambito interno che in relazione con gli ordini monastici e con gli stessi Doria. L’affermazione di questi ultimi, nella seconda metà del Duecento, detta il cambiamento: la costruzione del castrum su un colle disabitato ha l’effetto di catalizzare il popolamento, mentre nel distretto l'insediamento, prima di carattere sparso, si concentra in una serie di villaggi. Monteleone, con il relativo borgo retto da un podestà, diventa così il fulcro politico-militare ed economico di un ampio territorio, guadagnandosi anche il ruolo di baluardo della signoria dei Doria dopo la conquista catalano-aragonese di Alghero nel 1354, accogliendo probabilmente parte delle popolazioni espulse dalla stessa Alghero a favore dei nuovi pobladors iberici.
Nella seconda metà del Trecento le strategie dei Doria si intrecciano, attraverso la politica matrimoniale, con quelle del giudicato di Arborea. La resa di Monteleone (1435) e la conseguente defunzionalizzazione del castello, prelude alla riorganizzazione feudale della regione, il cui aspetto, tra XIV e XV secolo, venne stravolto dagli eventi bellici e da ondate epidemiche che causarono l'abbandono di quasi tutti i centri abitati, sopravvivendo solo quelli (tuttora esistenti) di Monteleone, Villanova e Romana.
Già durante il periodo giudicale il Nurcara è oggetto delle strategie dei giudici e dell'aristocrazia locale, sia in ambito interno che in relazione con gli ordini monastici e con gli stessi Doria. L’affermazione di questi ultimi, nella seconda metà del Duecento, detta il cambiamento: la costruzione del castrum su un colle disabitato ha l’effetto di catalizzare il popolamento, mentre nel distretto l'insediamento, prima di carattere sparso, si concentra in una serie di villaggi. Monteleone, con il relativo borgo retto da un podestà, diventa così il fulcro politico-militare ed economico di un ampio territorio, guadagnandosi anche il ruolo di baluardo della signoria dei Doria dopo la conquista catalano-aragonese di Alghero nel 1354, accogliendo probabilmente parte delle popolazioni espulse dalla stessa Alghero a favore dei nuovi pobladors iberici.
Nella seconda metà del Trecento le strategie dei Doria si intrecciano, attraverso la politica matrimoniale, con quelle del giudicato di Arborea. La resa di Monteleone (1435) e la conseguente defunzionalizzazione del castello, prelude alla riorganizzazione feudale della regione, il cui aspetto, tra XIV e XV secolo, venne stravolto dagli eventi bellici e da ondate epidemiche che causarono l'abbandono di quasi tutti i centri abitati, sopravvivendo solo quelli (tuttora esistenti) di Monteleone, Villanova e Romana.
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Durante l'età giudicale, nella seconda metà dell'XI secolo, la riorganizzazione del territorio in Sardegna, a cominciare dalle diocesi, si impernia su insediamenti rurali. La continuità di molti centri abitati, urbani ruralizzati o ville (villas), che si espandono fino a divenire sedi vescovili o raggiungere il rango di centri di riferimento del potere nei regni giudicali, non segue processi né omogenei né lineari. Tanto meno è sempre chiara la dinamica di formazione di molti dei nuovi puntiformi insediamenti, nati probabilmente in seguito all’espansione demografica che si ipotizza avesse segnato la curva della popolazione anche nell’isola.
Il movimento di colonizzazione dell’incolto e di rioccupazione delle aree costiere precede l’ondata monastica della seconda metà dell’XI secolo. La stessa geografia della distribuzione delle comunità religiose rivela le strategie di fondo della colonizzazione con un vuoto eloquente nelle aree interne e una concentrazione nelle terre popolate. Gli insediamenti comprendono vaste proprietà imperniate sulle domos, aziende in produzione con un serbatoio di uomini a cui attingere per lo sfruttamento delle diversificate risorse agricole e talvolta manodopera artigianale specializzata.
Nel rapporto tra i monaci e i recenti regni isolani le tensioni spirituali del movimento di riforma si fondono con le istanze di legittimazione del potere dei giudici: nel saldo patto di solidarietà instaurato la cura animarum si rivela funzionale strumento nell’inquadramento del territorio e della popolazione sparsa delle campagne anche per il potere laico.
Sotto il profilo amministrativo, il territorio si presenta compiutamente articolato in curatorìas, circoscrizioni amministrative composte da un insieme di villaggi non uniformi per numero, consistenza demografica e statuto. L’organizzazione, risultato della pulviscolare distribuzione della popolazione sul territorio, rivela la debolezza della configurazione delle comunità rurali, che nelle carte dell’XI-XII secolo faticosamente si vanno costruendo uno spazio identitario.
Le villas risultano immerse in una realtà dominata dai grandi possedimenti fondiari e dalle domos, le aziende sulle quali poggia il sistema produttivo signorile, dell’aristocrazia locale o di enti religiosi. Rette sulla manodopera servile, le domos, si allargano su ampie quote di terre demaniali, il serbatoio a cui i giudici attingono con frequenti stralci (la cosiddetta secatura de rennu) a beneficio di membri del proprio clan familiare, dei majorales e della Chiesa per costituire o ingrandire i patrimoni.