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Luca Zuccolo, La stampa francofona e il discorso patriottico ottomano

9/28/2015

 
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“Se in Città che somiglia al clima di un Impero…”. Resti in sospeso la citazione, per un ritorno al grande interrogativo sulla più recente storia ottomana, compiuto qui analizzando i fermenti cripto-nazionalistici dall’angolatura della stampa francofona. È uno degli scopi perseguiti da Luca Zuccolo, nell’indagine condotta sull’arco di un lustro (1880-1885), intorno a due giornali, «Osmanli» e «Stamboul». Si tratta del quinquennio che vede la nascita e la fine della prima delle due testate, e insieme uno dei momenti del maggior fermento intellettuale della società, soprattutto istanbuliota, ai tempi del sultano Abdülhamid (1876-1908). La lettura di questo libro, che di una popolazione cosmopolita, (“colorata” si direbbe, piegando all’esotico) si fa osservatorio, ha stimolato in noi, tra l’altro, il ricordo di una certa presenza, tra i Deputati ottomani alle trattative della Pace di Carlowitz (1689):

“(…) Collega e compagno di Mehmed Rami Reis Efendi, capo della Delegazione, diciamo] gl’era Alessandro Maurocordato, Interprete primario della Porta, che se bene Christiano di rito Greco, è stato sollevato all’honore di Secretario, e Consigliere, et hora è stato ambasciatore; Huomo di statura più tosto grande, barba lunga, che inclina al biondo se bene incanutisse per gl’ anni, essendo di circa 60. Di carnagione bianca, pallido per accidente di malattia ultimamente sofferta, grave nel portamento, e nel motto; mà di maniere affabili, e cortesi. Parla benissimo Italiano, e Latino, fù scolaro nello studio di Padova mà bandito à causa di certo accidente, s’addottorò à Bologna in Filosofia, e Medicina; pronto di lingua e di mente (…)”.


Tale una figura, tra le moltissime, nella fitta rappresentanza imperiale, e tra i sudditi fedeli di quella potenza: affabile, quasi familiare, anche a ragione del suo soggiorno padovano, italiano. Greco, “scismatico”, nondimeno elevato a tanto rango. È verosimile che il Mavrocordato d’Imperi se ne intendesse, e che fosse incline a considerarsene erede, in una continuità più o meno sotterranea, sì, ma certamente d’impronta territoriale e mentale. Così ebbe a funzionare uno Stato, chiamato “barbaro” quando conveniva demolirne l’immagine, e ritenuto temibile, ma insieme degno, legittimo, sempre, a Venezia e altrove: nelle cangianze dei tempi e dei pensieri, degli interessi. Teniamo davanti agli occhi quella figura, quell’emblema, e passiamo ad altre raffigurazioni.


Al tramonto di quella potenza, le idee su di esso, e da esso, si irradiavano comunque, e fervide, per coaugularsi intorno a nuclei diversificati, fin divergenti, e riflettersi nelle lettere, nei caratteri, nei tipi, delle tipografie. La stampa periodica non è che uno strumento, una faccia impressa dalle ideologie lanciate nell’arena, interna, interiore (nel verso anche delle coscienze), ed esterna, degli scontri e delle soluzioni alternative alla crisi di quella statualità. Non stupisce che storicamente - in un dato periodo storico, estremo segmento che fornisce una continuità a quello che ha visto Alessandro Mavrocordato e i suoi concittadini in azione, in missione “imperiale” - a schierarsi nel campo filo-Abdülhamid siano stati anche i sudditi non musulmani, non turchi, e i fondatori, i collaboratori di giornali, riviste, fogli diversamente portatori di retoriche di regime. Talché, viene a delinearsi perlomeno un poligono, specialmente un triangolo, con ai vertici l’Impero e la dinastia, la Grecità (più che la Grecia), e la Francia. Si danno le intese, e i malintesi. Secoli di alleanze franco-turche non escludono le censure dell’assolutismo, le interferenze. Ma i sudditi greci d’Istanbul, un nome che vuol dire Polis, per antonomasia, possono ben sentirsi, in modo nitido ma soggetto a mutazioni, i prosecutori di una successione imperiale elleno-ottomana. Sono le voci di coscienze devolute al servizio di una sovranità quasi emanata dagli avi dominanti a Costantinopoli, ripresa da Istanbul, sempre dalla Polis, cioè. E negli anni successivi alle Riforme (Tanzimat, 1839-1876) è erroneo, superficiale, arrogante, eurocentrico, trattare quei governanti alla stregua di malleabili persone esposte alle istruzioni di Inghilterra e Francia. Ma il Patriarcato greco-ortodossso si opponeva reattivo alle istanze nazionalistiche dei Bulgari, che pure riusciranno a strappare un esarcato, nel 1871. Nondimeno, con il francese, e con il greco, di pari passo procedeva il turco: reso man mano capace di recepire, rielaborare, respingere i concetti dei “Franchi”; o di imprimere toni e sfumature di una ricerca di “identità” al dire francese. All’esotizzazione del “Turco” si imprime una piega specifica, ottomana, certo impressa da dizioni politiche francesi; del resto, l’Impero rientrava per forza e cultura nei confini dei “Franchi”. Rientra nell’armamentario di Occidente e di Oriente l’impiego del marchio del “dispotismo”, tradotto in turco con istibdâd, parola che in terimini islamici significherebbe “buon governo”, giusto, retto.

Epoca di altri simboli, di contorsioni semantiche, le quali racchiudono in sé i nuclei delle profonde, buie domande sulla identità, confusi nella storia e nei suoi tornanti, e nella immaginazione di una comunità nazionale ottomana, connotata però vieppiù dai tratti turchi, ora ricalcati su quelli sottolineati negli Occidenti, ora da quelli ben differenziati, in via di opposizione. La stampa, le scuole, l’esercito, le cerimonie, le festività risuonano di queste note, propagandistiche: a far rivivere l’autorità sovrana, risacralizzata, e quella burocratica: ranghi, uffici, funzioni, doveri, allineati su un patriottismo che è promessa di salvezza per tutti, con il tutto che si staglia dai caratteri a stampa, latini o arabi; strumenti articolati in grado di provocare forti risonanze.

Sultano-Padre, di tutti i sudditi, quasi annuncio di nuova paternità, quali il gran condottiero Mustafa Kemal, l’Atatürk, altro Padre, all’orizzonte, sempre ampio, ma a grado a grado limitato alla vocazione dei Turchi, con l’omissione di altre presenze, vieppiù sgradite, date le loro tendenze alla emancipazione, travolte poi dalla pratica delle stesse teorie nazionalizzanti europee, o dall’islamismo preponderante. Né, da quell’orizzonte limitato, visto ex post e da Ovest, potrà esulare l’orientalizzazione della visione del Paese: anche questo aspetto interviene a dar corpo al ritratto di una identità fatta di tesserine e frammenti, schegge centrifughe per un istante bloccate dal richiamo alla lealtà al Signore, allo Stato. Con l’Ottomanesimo che, tingendosi sempre più di islam politico, si rivela come alta Missione, tesa alla integrazione terrena e perenne dei sudditi.
Tuttavia, ci si rispecchia, certo deformandosi, negli altri, nelle tradizioni ritrovate, cioè reinventate. Per immedesimarsi, imitare o respingere, cancellare. Nell’illusione di un riconoscersi, di un identificarsi, si recitano concezioni della terra turca, ricalcate magari su quella francese, con le ricadute nelle tracce della modernità d’altrove, ma non estranea, in una consuetudine (qui si sente la lezione di J. Michelet, a sua volta debitore al pensiero germanico):

Tu una sera di sogno eri venuta a contemplare
Su ogni colle del paese cui tu tanto somigli.

Parlavi e ti guardai: sempre più eri bella,
Sempre più nella tua voce io sentivo Istanbul.
Su questo tuo paese la tua stirpe ti plasmava
E scorrevano le insegne a sfidare gli orizzonti,
A che in volto riflettessi la tua storia,
Oh, quant'oro sanguigno di campioni nel marmo si impastò.

Ora, tal plasmarsi su questo “tuo Paese” varrebbe per tutti quelli che lo abitano, da molto prima dei Turchi, i quali qui da un millennio in ogni caso ci sono. Ma l’impasto sembra di una pasta diversa, estranea a contaminazioni. Visioni, e immedesimazioni, con i rigetti della Francia, dove pur ci si è nutriti di Oriente. Infatti, con Yahya Kemal (1884-1958) si assiste all’invenzione di una classicità massiccia (fatta dall’intera storia poetica ottomana, senza analisi, distinzioni in periodi), alla quale rifarsi per ristabilire quel rapporto diretto con la tradizione interrotto dalle Tanzimat. Ma si tratta appunto di stupenda invenzione, maturata durante il soggiorno francese di Yahya (1903-1912), mediante le letture di Le conte de Lisle, Heredia, Moréas, Baudelaire, i saggi di Jules Michelet, l’insegnamento di Calille Jullian, e lo studio dei canzonieri ottomani e persiani custoditi alla Bibliothèque Nazionale. Adesso, abbia fine quella sospensione iniziale, restituiamo il verso alla strofa, che è giro di pensieri:

(…) Se in Città che somiglia al clima di un Impero,
In notti immense pari all'illusione,
Là, rimpetto alle stelle,
Se insieme con l'amica
Iddio mi elargisse la salute di brindare...
Basterebbe!

Basterebbe davvero? Allora, vuol dire che la Città, la Polis, gradualmente era uscita di sé in cerca di se stessa, per restare solo a “somigliare al clima di un Impero”. Parvenze, fantasmi, abbagli, riflessi dalla stampa, che il libro di Zuccolo è attento a raccogliere.
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Alta Formazione in Sardegna. Atti del Convegno di Studi Giovani Ricercatori (Sassari, 16 dicembre 2011)

9/7/2014

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Questo volume contiene una sintesi dell’incontro promosso dall’Università di Sassari sulle ricerche portate avanti dai nostri giovani ricercatori: un’occasione straordinaria di conoscenza, un bilancio e insieme una prospettiva verso il futuro. La Giornata di presentazione dei risultati della ricerca dei Giovani Ricercatori, che si è svolta il 16 dicembre 2011 presso l’Aula Magna dell’Università, è stata a buon diritto inserita fra i principali eventi promossi in coincidenza con le celebrazioni del 450° anno dalla nascita del Collegio Gesuitico, alle origini dell’Ateneo turritano. Nel corso di due sessioni sono state esposte le ricerche co-finanziate con fondi del POR Sardegna del Fondo Sociale Europeo 2007-2013 e sulla legge regionale n. 7 del 2007 per la promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna.

Si tratta di ricerche condotte con forte motivazione e rigore nel corso del biennio 2010-2011 da tanti giovani promettenti, portate avanti in modo autonomo e indipendente, ma con la supervisione di responsabili scientifici appartenenti ad Università e ad Enti di ricerca.

L’evento, pensato dai borsisti di ricerca che facevano capo all’antico Dipartimento di Storia dell’Ateneo sassarese, si è poi aperto alla partecipazione di ricercatori di altre strutture anche del sud dell’isola. Questo importante momento di confronto e di crescita ha avuto come filo conduttore la Storia, da quella più antica a quella contemporanea, rappresentata nelle sue varie sfaccettature negli interventi dei 19 giovani studiosi che hanno aderito all’invito degli organizzatori.

Voglio esprimere l’apprezzamento per i risultati raggiunti, che testimoniano una qualità, una tensione, un impegno che è nostro dovere sostenere e incoraggiare. L’auspicio è che la Regione Autonoma della Sardegna continui ad investire nella ricerca e nei ricercatori, giovani e meno giovani, che con tanta abnegazione e spesso fra mille difficoltà portano a compimento, come il protagonista dell’Eneide, i propri munera: il motto del nostro Ateneo, dopo l’approvazione del nuovo statuto, è appunto susceptum perfice munus.

Sassari, Pasqua 2014
Attilio Mastino - Rettore dell’Università degli Studi di Sassari

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Contributi di:

La “Giornata di presentazione dei risultati della ricerca dei Giovani Ricercatori”
Attilio Mastino

I “Giovani Ricercatori”: uno sguardo d’insieme sulle loro attività
 Alessandro Teatini

La viabilità nella Sardegna romana tra le stationes di Hafa e Molaria
Marilena Sechi

Religione e culti della Sardegna in età romana. Note su alcuni aspetti e problematiche
Chiara Pilo, Romina Carboni

Aspetti culturali della Nurra di età storica: il caso delle cosiddette sepolture ad enchytrismos
Emiliano Cruccas

Le necropoli di Turris Libisonis
Emanuela Cicu

Partecipare alla salvaguardia del patrimonio con il Sistema Informativo Territoriale Archeologico di Porto Torres
Enrico Petruzzi

Geo-Informatica per l’individuazione dei Paesaggi Storici. L’asta del Rio Mannu di Porto Torres
Federico Nurra

GIS OS per lo studio della viabilità antica nel Sulcis: applicazioni di analisi spaziale con GRASS e Qgis
Ilaria Montis

Essere uomini, diventare donne: i Lidi di Coricio di Gaza tra storia e riflessione sui meccanismi di costruzione dell’identità individuale
Simona Lupi

I culti orientali nell’Africa romana: alcune considerazioni tra archeologia ed epigrafia
Alberto Gavini

I reperti ceramici tardoantichi e medievali dagli scavi dell'area di San Pietro a Bosa. Relazione preliminare – campagne 1995 e 2003

Laura Biccone, Alessandro Vecciu

Gli Ebrei Sefarditi e i loro rapporti  con le comunità religiose nell'area dello Stretto di Gibilterra
Marianna Piras

Informatica umanistica e documentazione d’archivio: i Cabrei dell’Archivio di Stato di Cagliari
Maria Clara Cominacini

Inventari digitali e archivi virtuali, due esempi: l’Inventario del Capitolo cattedrale di Alghero e l’Archivio Virtuale degli atti sinodali medievali sardi
Alessandra Derrii

Finanza e fiscalità nel Regno di Sardegna (1323-1355): strumenti e metodologia di ricerca
Fabrizio Alias

Ceti emergenti e dinamiche sociali nel bacino metallifero dell'Iglesiente tra Ottocento e Novecento
Giampaolo Atzei

L’alta formazione, spina dorsale della società sarda futura
Luciano Cicu

Nota dei curatori
Emanuela Cicu, Alberto Gavini, Marilena Sechi
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Jacob Burckhardt, The Civilization of Renaissance in Italy

8/29/2013

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Carl Jacob Christoph Burckhardt (May 25, 1818 - August 8, 1897) was a historian of art and culture, and an influential figure in the historiography of each field. He is known as one of the major progenitors of cultural history. Siegfried Giedion described Burckhardt's achievement in the following terms: "The great discoverer of the age of the Renaissance, he first showed how a period should be treated in its entirety, with regard not only for its painting, sculpture and architecture, but for the social institutions of its daily life as well." Burckhardt's best known work is The Civilization of the Renaissance in Italy (1860).
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This work bears the title of an essay in the strictest sense of the word. No one is more conscious than the writer with what limited means and strength he has addressed himself to a task so arduous. And even if he could look with greater confidence upon his own researches, he would hardly thereby feel more assured of the approval of competent judges. To each eye, perhaps, the outlines of a given civilization present a different picture; and in treating of a civilization which is the mother of our own, and whose influence is still at work among us, it is unavoidable that individual judgement and feeling should tell every moment both on the writer and on the reader. In the wide ocean upon which we venture, the possible ways and directions are many; and the same studies which have served for this work might easily, in other hands, not only receive a wholly different treatment and application, but lead also to essentially different conclusions. Such indeed is the importance of the subject that it still calls for fresh investigation, and may be studied with advantage from the most varied points of view. Meanwhile we are content if a patient hearing is granted us, and if this book be taken and judged as a whole. It is the most serious difficulty of the history of civilization that a great intellectual process must be broken up into single, and often into what seem arbitrary categories in order to be in any way intelligible. It was formerly our intention to fill up the gaps in this book by a special work on the 'Art of the Renaissance', an intention, however, which we have been able to fulfill only in part.

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