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Spartaco Marcucci, Una margherita all'occhiello. Poesie in lingua italiana e in vernacolo lucchese

10/21/2019

 
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Le poesie di Spartaco Marcucci (1926-2004) compongono un mosaico della vita nella campagna lucchese lungo i decenni di passaggio dalla società rurale a quella industriale. Le veglie nell’aia, le opre contadine come la battitura del grano, la vendemmia o la raccolta delle olive cedono via via il passo alla vita di fabbrica, al cambiamento dei costumi sessuali, alla luna oggetto di conquista tecnologica.
Ad alleviare il senso di smarrimento originato dal rapido cambiamento dei riferimenti sociali resta la poesia, ristoro dello spirito, sostegno del vivere quotidiano attraverso le rime dei classici. Poesia ardente dentro e simboleggiata esteriormente da una margherita che il poeta portava all’occhiello della giacca, quasi fosse il Fior, incipit dell’endecasillabo Fior frondi, herbe, ombre, antri, onde, aure soavi di un sonetto dell’amato Petrarca.
In questo libro sono raccolte alcune delle tante poesie che Spartaco Marcucci scriveva su fogli di taccuino per declamarle agli amici nei momenti conviviali. Una volta declamate, quelle rime perdevano per lui il valore dell’attimo per cui erano state composte e venivano quindi abbandonate in qualche mobile di casa, dove sono rimaste, mai pubblicate, fino a oggi.

Libro

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eBook

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Spartaco Marcucci, autodidatta, letterato, poeta, declamatore di versi, improvvisatore. Tutto ciò che aveva a che fare con la letteratura e con la poesia lo stimolava in un modo sorprendente.
L'ho conosciuto in occasione di una cena che definire pantagruelica è far torto alla cuoca, a casa di Nicodemo Pucci, a Valgiano, in quello stanzone, al primo piano, dove periodicamente venivano accolti ospiti diversi e persone con cariche istituzionali.
Passati i piatti tradizionali e gli immancabili fiaschi di vino impagliati, iniziava la tenzone o meglio la parte importante del convivio. Spartaco, pregato da tutti e magari da qualche neofita, come il sottoscritto (opportunamente indottrinato prima da Nicodemo, perché insistessi con forza), tirava fuori dalla tasca della giacca qualche foglietto e, schermendosi ancora, si apprestava a leggere una poesia. Poi, piano piano, la scena si animava e i foglietti sgorgavano da non si sa dove e venivano letti con sentimento a fronte di un religioso silenzio dei commensali. Terminati gli applausi e i commenti, partiva Nicodemo, di solito dirimpettaio di Spartaco e leggeva o declamava le proprie poesie. Così si andava avanti per ore, e poi uno dei due incominciava ad improvvisare e l'altro ribatteva, sempre in versi, come nei famosi “maggi garfagnini” fino al saluto con l'ultimo brindisi seguito da una performance di Nicodemo che, tirata fuori la tromba da sotto il tavolo, suonava qualcosa di noto e spesso era il famoso “silenzio fuori ordinanza”.
Ho avuto modo di rivedere Spartaco ed ascoltarlo, oltre che in altre cene conviviali, sia da Nicodemo che a Matraia, quando cantava nel coro di Camigliano, quando lo incontravo in occasione di riunioni paesane, quando ci trovavamo occasionalmente a Lucca per assistere a conferenze, tavole rotonde, presentazione di libri, sempre sotto l'egida dell'arte, della musica e della letteratura.
Parlare con lui era piacevole, perché affrontava qualsiasi argomento con l'umiltà di non voler imporre nulla, ma con la determinazione di metterti al corrente delle sue conoscenze e dei suoi pensieri, mai banali, sempre meditati e profondi.
Aveva la magnifica dote di entrare subito in sintonia ed amicizia con chi lo ascoltava e magari lo pregava con insistenza per farsi declamare alcune poesie, In queste c'è tutta l'anima di un attento osservatore delle cose e delle persone, di chi interpretava un mondo (quello successivo alla seconda guerra mondiale) di cui aveva assimilato e anche condiviso il profondo senso religioso e socio-culturale. Non disdegnava la discussione politica, mai faziosa. Era forte nella interpretazione e descrizione molto viva di un tipo di società (quella contadina) di cui denunciava la chiusura e contemporaneamente ne esaltava i valori ma della quale intuiva e temeva l'ormai imminente disfacimento a favore della cosiddetta “modernità” come poi è avvenuto.
Tutto questo era Spartaco e forse molto altro ancora. Un testimone del periodo storico che seppe interpretare con profonda delicatezza. Con i suoi versi ne colse appieno i principi e i valori che voleva trasmettere ai contemporanei, a chi lo ha conosciuto e lo ricorda con piacere, ma soprattutto, con questo libro che il figlio Moreno ha giustamente deciso di pubblicare, a chi avrà la fortuna e la gioia di leggere le sue poesie.
Marzo 2019
Michele Martinelli
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Angelo Fornaro, Tra labirinto & ossessione

7/29/2013

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Perchè "Tra labirinto e ossessione"? Labirinto è il sogno del sesso descritto e desiderato in ogni senso caotico. A volte impossibile viverlo oggettivamente: prende vita solo nei sogni. Ossessione è la vita caotica attuale, un mondo senza respiro, la gente senza speranza ma con la luce sognata che può riaccendere il mondo spento come una lampadina nera. Le storie descritte riguardano la vita, la natura, le guerre, le passioni di fuoco, la violenza, la malvagità del potere più forte di un mostro a sei teste. In ogni storia ci si può trovare qualcosa di ognuno oppure si fantastica nell’immaginario crudele e a volte felice che la vita dà. Anche quella del mondo erotico raccapricciante. L’ispirazione letteraria è data dalle parole che l'autore ha dentro, le cose che ha da scrivere secondo il flusso di pensiero e la rima libera. Egli sente “l’esigenza” stringente di redigere, rivelare, formulare, dare origine, diffondere, preparare mentalmente...

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Fustigazione e vendetta

All'istante mi riappaiono i flashback:
ricordi di donne afrodisiache e di estivi seni voluttuosi
e di spermi voluminosi. Di belle stagioni...

Nella notte uggiosa e lampante, torni tu, severa e implacabile
con l’anima di pipistrello fuori di sé.
Implode la mia pelle al tuo tocco appena.
I tuoi denti aguzzi come lance roventi.
Le tue forme aizzano lo sguardo dell’asta raggiante.
Ahhh…!! Tu non carezzi, mastichi...
La prima zannata per il mio membro estinto.

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Riccardo Gaeta, Zoom

7/29/2013

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Riccardo Gaeta è un giovane poeta milanese, classe 1979. Costantemente attanagliato dal bisogno di scrivere, concepisce la poesia come “un’idea di pop art trasfigurata in parole e numeri scritti. Non più poesie ma flash, sensazioni, attimi, forme del creato, colori del circostante. Istantanee consce ed inconsce. Attimi che ognuno potrebbe immortalare su carta o sui social network. Non più poesia, ma flash senza metrica e talvolta privi di punteggiatura”. Zoom potrebbe definirsi una raccolta poetica di “flash come piccoli mattoni, sensazioni impercettibili che condizionano una realtà nei suoi risvolti negativi e positivi”.

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Fulmine vento

Ulula il fulmine,
il vetro si fa lisca,
da dentro un caldo
senza passione.

Come stride quel rapporto
tra natura ferma,
riflessiva e morta,
(unico rifugio):
finito sabbia
scolpito a forma
di cervello geometrico.

Si coglie un tulipano
mentre ci si pone
verso un vicolo
umido,
fermi in attesa del solito tempo:
tesi
tra il violento e il saggio.

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Matteo Rubbini, Fogli

7/27/2013

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Matteo Rubbini, nato tra le nebbie della provincia ferrarese, a sei anni inizia la lettura dei piccoli volumi del Battello a Vapore, tramutatisi poi, col trascorrere del tempo, nei volumi di Hemingway, Bukowsky, Tolkien, Bassani e nelle poesie di Eugenio Montale. Fin dai primi passi inizia a trascorrere molto tempo nel negozio dei nonni materni, maturando un profondo senso di attaccamento per quel luogo prossimo alla mitizzazione: è qui infatti che passa il tempo a leggere e a osservare le persone che entrano ed escono. Unita alla passione per questo luogo c'è l'amore per la campagna, i piccoli borghi e il mutare delle stagioni. Inizia precocemente a interessarsi alla scrittura attiva, facendo pratica con poesie e racconti. Affiancate alle lettura e alla composizione, trovano posto le canzoni di Guccini e De Andrè che fanno da colonna sonora alla sua formazione.

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A te

Nonostante il foglio bianco
non ho nulla da dire,
io che mi vantavo con te
di saper tessere trame,
dopo il tuo incontro
non mi sono rimaste
più parole,

mentre la penna semina
inchiostro nero
su una distesa vuota
com’ero io prima di noi,

nella mente balenano foto di noi,
le scatto su ogni tuo volto,
per poterle tenere dentro,
sfiorarle, baciarle,
insieme alla solitudine
compagna fissa del mio
vecchio cuore

momenti troppo intensi
per poterli scrivere
su questo foglio
bianco
adesso
bianco
sempre

confessore deluso dei miei pensieri.

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