Le poesie di Spartaco Marcucci (1926-2004) compongono un mosaico della vita nella campagna lucchese lungo i decenni di passaggio dalla società rurale a quella industriale. Le veglie nell’aia, le opre contadine come la battitura del grano, la vendemmia o la raccolta delle olive cedono via via il passo alla vita di fabbrica, al cambiamento dei costumi sessuali, alla luna oggetto di conquista tecnologica.
Ad alleviare il senso di smarrimento originato dal rapido cambiamento dei riferimenti sociali resta la poesia, ristoro dello spirito, sostegno del vivere quotidiano attraverso le rime dei classici. Poesia ardente dentro e simboleggiata esteriormente da una margherita che il poeta portava all’occhiello della giacca, quasi fosse il Fior, incipit dell’endecasillabo Fior frondi, herbe, ombre, antri, onde, aure soavi di un sonetto dell’amato Petrarca.
In questo libro sono raccolte alcune delle tante poesie che Spartaco Marcucci scriveva su fogli di taccuino per declamarle agli amici nei momenti conviviali. Una volta declamate, quelle rime perdevano per lui il valore dell’attimo per cui erano state composte e venivano quindi abbandonate in qualche mobile di casa, dove sono rimaste, mai pubblicate, fino a oggi.
Ad alleviare il senso di smarrimento originato dal rapido cambiamento dei riferimenti sociali resta la poesia, ristoro dello spirito, sostegno del vivere quotidiano attraverso le rime dei classici. Poesia ardente dentro e simboleggiata esteriormente da una margherita che il poeta portava all’occhiello della giacca, quasi fosse il Fior, incipit dell’endecasillabo Fior frondi, herbe, ombre, antri, onde, aure soavi di un sonetto dell’amato Petrarca.
In questo libro sono raccolte alcune delle tante poesie che Spartaco Marcucci scriveva su fogli di taccuino per declamarle agli amici nei momenti conviviali. Una volta declamate, quelle rime perdevano per lui il valore dell’attimo per cui erano state composte e venivano quindi abbandonate in qualche mobile di casa, dove sono rimaste, mai pubblicate, fino a oggi.
Spartaco Marcucci, autodidatta, letterato, poeta, declamatore di versi, improvvisatore. Tutto ciò che aveva a che fare con la letteratura e con la poesia lo stimolava in un modo sorprendente.
L'ho conosciuto in occasione di una cena che definire pantagruelica è far torto alla cuoca, a casa di Nicodemo Pucci, a Valgiano, in quello stanzone, al primo piano, dove periodicamente venivano accolti ospiti diversi e persone con cariche istituzionali.
Passati i piatti tradizionali e gli immancabili fiaschi di vino impagliati, iniziava la tenzone o meglio la parte importante del convivio. Spartaco, pregato da tutti e magari da qualche neofita, come il sottoscritto (opportunamente indottrinato prima da Nicodemo, perché insistessi con forza), tirava fuori dalla tasca della giacca qualche foglietto e, schermendosi ancora, si apprestava a leggere una poesia. Poi, piano piano, la scena si animava e i foglietti sgorgavano da non si sa dove e venivano letti con sentimento a fronte di un religioso silenzio dei commensali. Terminati gli applausi e i commenti, partiva Nicodemo, di solito dirimpettaio di Spartaco e leggeva o declamava le proprie poesie. Così si andava avanti per ore, e poi uno dei due incominciava ad improvvisare e l'altro ribatteva, sempre in versi, come nei famosi “maggi garfagnini” fino al saluto con l'ultimo brindisi seguito da una performance di Nicodemo che, tirata fuori la tromba da sotto il tavolo, suonava qualcosa di noto e spesso era il famoso “silenzio fuori ordinanza”.
Ho avuto modo di rivedere Spartaco ed ascoltarlo, oltre che in altre cene conviviali, sia da Nicodemo che a Matraia, quando cantava nel coro di Camigliano, quando lo incontravo in occasione di riunioni paesane, quando ci trovavamo occasionalmente a Lucca per assistere a conferenze, tavole rotonde, presentazione di libri, sempre sotto l'egida dell'arte, della musica e della letteratura.
Parlare con lui era piacevole, perché affrontava qualsiasi argomento con l'umiltà di non voler imporre nulla, ma con la determinazione di metterti al corrente delle sue conoscenze e dei suoi pensieri, mai banali, sempre meditati e profondi.
Aveva la magnifica dote di entrare subito in sintonia ed amicizia con chi lo ascoltava e magari lo pregava con insistenza per farsi declamare alcune poesie, In queste c'è tutta l'anima di un attento osservatore delle cose e delle persone, di chi interpretava un mondo (quello successivo alla seconda guerra mondiale) di cui aveva assimilato e anche condiviso il profondo senso religioso e socio-culturale. Non disdegnava la discussione politica, mai faziosa. Era forte nella interpretazione e descrizione molto viva di un tipo di società (quella contadina) di cui denunciava la chiusura e contemporaneamente ne esaltava i valori ma della quale intuiva e temeva l'ormai imminente disfacimento a favore della cosiddetta “modernità” come poi è avvenuto.
Tutto questo era Spartaco e forse molto altro ancora. Un testimone del periodo storico che seppe interpretare con profonda delicatezza. Con i suoi versi ne colse appieno i principi e i valori che voleva trasmettere ai contemporanei, a chi lo ha conosciuto e lo ricorda con piacere, ma soprattutto, con questo libro che il figlio Moreno ha giustamente deciso di pubblicare, a chi avrà la fortuna e la gioia di leggere le sue poesie.
Marzo 2019
Michele Martinelli
L'ho conosciuto in occasione di una cena che definire pantagruelica è far torto alla cuoca, a casa di Nicodemo Pucci, a Valgiano, in quello stanzone, al primo piano, dove periodicamente venivano accolti ospiti diversi e persone con cariche istituzionali.
Passati i piatti tradizionali e gli immancabili fiaschi di vino impagliati, iniziava la tenzone o meglio la parte importante del convivio. Spartaco, pregato da tutti e magari da qualche neofita, come il sottoscritto (opportunamente indottrinato prima da Nicodemo, perché insistessi con forza), tirava fuori dalla tasca della giacca qualche foglietto e, schermendosi ancora, si apprestava a leggere una poesia. Poi, piano piano, la scena si animava e i foglietti sgorgavano da non si sa dove e venivano letti con sentimento a fronte di un religioso silenzio dei commensali. Terminati gli applausi e i commenti, partiva Nicodemo, di solito dirimpettaio di Spartaco e leggeva o declamava le proprie poesie. Così si andava avanti per ore, e poi uno dei due incominciava ad improvvisare e l'altro ribatteva, sempre in versi, come nei famosi “maggi garfagnini” fino al saluto con l'ultimo brindisi seguito da una performance di Nicodemo che, tirata fuori la tromba da sotto il tavolo, suonava qualcosa di noto e spesso era il famoso “silenzio fuori ordinanza”.
Ho avuto modo di rivedere Spartaco ed ascoltarlo, oltre che in altre cene conviviali, sia da Nicodemo che a Matraia, quando cantava nel coro di Camigliano, quando lo incontravo in occasione di riunioni paesane, quando ci trovavamo occasionalmente a Lucca per assistere a conferenze, tavole rotonde, presentazione di libri, sempre sotto l'egida dell'arte, della musica e della letteratura.
Parlare con lui era piacevole, perché affrontava qualsiasi argomento con l'umiltà di non voler imporre nulla, ma con la determinazione di metterti al corrente delle sue conoscenze e dei suoi pensieri, mai banali, sempre meditati e profondi.
Aveva la magnifica dote di entrare subito in sintonia ed amicizia con chi lo ascoltava e magari lo pregava con insistenza per farsi declamare alcune poesie, In queste c'è tutta l'anima di un attento osservatore delle cose e delle persone, di chi interpretava un mondo (quello successivo alla seconda guerra mondiale) di cui aveva assimilato e anche condiviso il profondo senso religioso e socio-culturale. Non disdegnava la discussione politica, mai faziosa. Era forte nella interpretazione e descrizione molto viva di un tipo di società (quella contadina) di cui denunciava la chiusura e contemporaneamente ne esaltava i valori ma della quale intuiva e temeva l'ormai imminente disfacimento a favore della cosiddetta “modernità” come poi è avvenuto.
Tutto questo era Spartaco e forse molto altro ancora. Un testimone del periodo storico che seppe interpretare con profonda delicatezza. Con i suoi versi ne colse appieno i principi e i valori che voleva trasmettere ai contemporanei, a chi lo ha conosciuto e lo ricorda con piacere, ma soprattutto, con questo libro che il figlio Moreno ha giustamente deciso di pubblicare, a chi avrà la fortuna e la gioia di leggere le sue poesie.
Marzo 2019
Michele Martinelli