Traduzione di Ferdinando Martini. Introduzione di Enrico Panzacchi. La Certosa di Parma è un classico della letteratura francese. Ambientato nell'Italia napoleonica, si svolge tra battaglie e passioni d'impronta arcatamente italica. La magistrale traduzione di Ferdinando Martini e l'ampio saggio introduttivo di Enrico Panzacchi fanno da corollario a questo capolavoro della letteratura. Stendhal, pseudonimo di Marie-Henri Beyle, (1783-1842) è uno dei più grandi scrittori francesi del XIX secolo. Tra le sue opere: La Chartreuse de Parme, Le Rouge et le Noir, L'Abbesse de Castro, Rome, Naples et Florence.
I libri dello Stendhal sull’Italia, che formano la parte più voluminosa del suo bagaglio letterario, sono pieni zeppi di osservazioni acute, di pensieri imprevisti, non di rado strani e paradossali, ma sempre suggellati da una nota di esperienza personale che dà loro autorità. Perfino quelli che si sogliono chiamare i luoghi comuni della ammirazione intorno a luoghi e monumenti mille volte descritti, balzano nuovi e freschi dalla sua matita. Pare che immerga ogni cosa in una specie di fontaine de Jouvence, la quale non è poi altro che la sua calda sincerità d’artista, accompagnata da una indomita libertà di giudizio. ... L’amore per lo Stendhal fu sempre “il grande affare della vita”. Anche l’ideale della gloria militare, che di tanto in tanto esalta il suo spirito, viene in secondo luogo; e forse, scrutandolo a fondo, non era per lui che un coefficiente dell’amore. Il valore degli uomini egli lo misurava dalla energia del loro sentimento e dalla “sincerità” con cui riescono a manifestarla. In questi due punti egli faceva consistere la bontà del carattere italiano. La eccellenza nelle arti (nella pittura e nella musica sopratutto) venivane come conseguenza, date alcune condizioni storiche favorevoli, di questa indole energica, passionata e sincera. Su queste idee lo Stendhal, qualunque argomento tratti, torna incessantemente nei suoi libri, perché non vi è forse scrittore come lui che si ripeta senza fine e che, non ostante, abbia il segreto di non riuscirci di peso e monotono. Enrico Panzacchi
I libri dello Stendhal sull’Italia, che formano la parte più voluminosa del suo bagaglio letterario, sono pieni zeppi di osservazioni acute, di pensieri imprevisti, non di rado strani e paradossali, ma sempre suggellati da una nota di esperienza personale che dà loro autorità. Perfino quelli che si sogliono chiamare i luoghi comuni della ammirazione intorno a luoghi e monumenti mille volte descritti, balzano nuovi e freschi dalla sua matita. Pare che immerga ogni cosa in una specie di fontaine de Jouvence, la quale non è poi altro che la sua calda sincerità d’artista, accompagnata da una indomita libertà di giudizio. ... L’amore per lo Stendhal fu sempre “il grande affare della vita”. Anche l’ideale della gloria militare, che di tanto in tanto esalta il suo spirito, viene in secondo luogo; e forse, scrutandolo a fondo, non era per lui che un coefficiente dell’amore. Il valore degli uomini egli lo misurava dalla energia del loro sentimento e dalla “sincerità” con cui riescono a manifestarla. In questi due punti egli faceva consistere la bontà del carattere italiano. La eccellenza nelle arti (nella pittura e nella musica sopratutto) venivane come conseguenza, date alcune condizioni storiche favorevoli, di questa indole energica, passionata e sincera. Su queste idee lo Stendhal, qualunque argomento tratti, torna incessantemente nei suoi libri, perché non vi è forse scrittore come lui che si ripeta senza fine e che, non ostante, abbia il segreto di non riuscirci di peso e monotono. Enrico Panzacchi
Il 15 maggio 1796 il general Bonaparte entrò a Milano alla testa del giovine esercito che aveva varcato il ponte di Lodi e mostrato al mondo come dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avessero un successore.
I miracoli d'ardimento e d'ingegno che l'Italia vide compiersi in pochi mesi risvegliarono un popolo addormentato: otto giorni avanti che i Francesi giungessero, i Milanesi li credevano un'accozzaglia di briganti usi a scappar di fronte alle truppe di Sua Maestà Imperiale e Reale, che questo diceva e ripeteva tre volte la settimana un giornalucolo grande come il palmo della mano e stampato su una sudicia carta.
Nel Medioevo i Milanesi furon prodi quanto i Francesi della rivoluzione e meritarono di veder la loro città rasa al suolo dagli imperatori tedeschi. Da quando divennero «sudditi fedeli», loro cura suprema era lo stampar sonetti su pezzoline di taffetas rosa per celebrar le nozze di qualche fanciulla nobile o ricca. La quale fanciulla, due o tre anni dopo quel gran giorno della sua vita, si prendeva un cavalier servente: qualche volta il nome del cicisbeo, scelto dalla famiglia del marito, era perfino onorevolmente registrato nel contratto di matrimonio. Che differenza tra questi costumi effeminati e le commozioni profonde suscitate dal giungere impreveduto dell'esercito francese! Costumi nuovi non tardarono a sorgere, passioni nuove a manifestarsi; e tutto un popolo, il 15 maggio 1796, si accorse che quanto aveva fino allora circondato del suo rispetto era sovranamente ridicolo, odioso talora.