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Ivan Turgenev, Terra vergine

9/12/2013

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Ivan Sergeevič Turgenev (1818-1883) divenne celebre con Bozzetti di un cacciatore note anche con il titolo di Memorie di un cacciatore. Basato sulle osservazioni fatte dallo stesso autore durante le battute di caccia agli uccelli ed alle lepri nella tenuta materna di Spasskoye, l'opera fu pubblicata in forma unitaria nel 1852. La sua opera successiva fu Un nido di nobili nel 1859, seguito, l'anno successivo, da All'epoca (sottinteso: "della riforma"), un racconto che contiene uno dei suoi personaggi femminili meglio riusciti, Elena. Questo racconto, con il personaggio del rivoluzionario bulgaro Dmitri, dovette apparire molto anticonformista e politicamente eccitante ai lettori contemporanei. Questi due romanzi, uniti al primo (Rudin, del 1857), prendono di mira "l'uomo superfluo", come l'autore lo definì, cioè l'idealista buono solo a parole ma nella pratica debole e inetto.  È del 1862 Padri e figli, il capolavoro di Turgenev, romanzo costruito in modo esemplare, in cui l'autore descrive in modo estremamente efficace il primo diffondersi delle idee rivoluzionarie in Russia. Il personaggio principale del romanzo, Bazarov, è considerato da molti come una delle creazioni meglio riuscite della novellistica dell'ottocento, anche se i critici russi contemporanei non apprezzarono Padri e figli come avrebbe meritato. In particolare le aspre critiche, specialmente da parte dei giovani radicali, delusero profondamente Turgenev, al punto che negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione la sua attività si ridusse al minimo. Gli ultimi romanzi di Turgenev, con la loro lingua antiquata e la loro pomposità, sono considerati inferiori alle sue opere precedenti. Fumo fu pubblicato nel 1867 e il suo ultimo lavoro di una certa lunghezza, Terra vergine, fu pubblicato nel 1877. A parte queste sue opere più lunghe, ne furono composte molte più brevi, alcune di grande bellezza e piene di una sottile analisi psicologica, come Acque di primavera, Primo amore, Asja e altri.
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Era la primavera dell'anno 1868 e batteva appena il mezzogiorno. Nella via degli Ufficiali, a Pietroburgo, arrampicavasi su per una buia e sudicia scaletta d'una casa a cinque piani un uomo sui ventisette anni, sciattato e povero in arnese. Con uno strofinìo pesante delle ciabatte, dondolando sfiaccolato il corpo massiccio e goffo, arrivò questo uomo finalmente in cima alla scaletta, si fermò davanti a una porta sgangherata e socchiusa, e senza darsi il fastidio di suonare il campanello, andò oltre, sbuffando come un mantice, e si trovò in una piccola e scura anticamera.
- È in casa Nejdanow? - gridò con voce alta e baritonale.
- No, ci sono io invece, - suonò dalla camera contigua una voce femminile, non però meno burbera.
- Chi? Masciùrina? - domandò il nuovo venuto.
- In petto e in persona. E voi chi siete? forse Ostrodumow?
- Pimen Ostrodumow, - rispose l'altro, mentre si andava cavando le caloscie. Poi, sospesa ad un chiodo la vecchia mantellina che aveva indosso, entrò nella camera donde la voce femminile era venuta.
Era una camera bassa, sudicia, dalle pareti tinte di verdognolo, rischiarata a mala pena da due finestrette polverose. Per tutta mobilia, non c'era che un lettuccio di ferro in un cantuccio, una tavola nel mezzo, poche seggiole spaiate e una scansia carica di libri.  Sedeva accanto alla tavola una donna sulla trentina, dai capelli arruffati, vestita di lana nera. Fumava tranquillamente una sigaretta.  Vedendo entrare Ostrodumow, non aprì bocca, contentandosi di porgergli una mano grossolana e rossa. Quegli, anche in silenzio, la strinse. Poi, lasciatosi cadere sopra una seggiola, cavò di tasca un mezzo sigaro, e lo accese al fuoco che Masciùrina gli offriva. Nè una parola, nè uno sguardo. L'uno e l'altra si dettero a spingere nugoli di fumo azzurriccio nell'aria grigia e già abbastanza affumicata della camera. Benchè al viso non si somigliassero, aveano i due fumatori non so che di comune. Figure ruvide e sciamannate; grosse labbra, grossi denti, grossi nasi: Ostrodumow, per giunta, era butterato: l'una e l'altro però portavano una loro impronta di onestà, di laboriosità, di proposito.

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Lev Tolstoj, La Sonata a Kreutzer

9/11/2013

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La Sonata a Kreutzer è uno dei romanzi brevi dI Lev Tolstoj, pubblicato nel 1889. L'intera vicenda ha luogo durante un viaggio in treno. La voce narrante è quella di un uomo che rimarrà per tutto il romanzo uno sconosciuto, tanto per il lettore quanto per lo stesso Vasja Pozdnyšev, al quale non dirà mai il proprio nome. Quest'uomo registra una conversazione tra alcune persone, le quali dissertano animatamente a proposito dei principi fondanti dell'amore, e della sua stessa definizione. In particolare, emergono le posizioni nettamente contrapposte di una signora, che difende l'amore «fondato sulla comunanza d'ideali o sull'affinità spirituale», e quella di un uomo «dai capelli grigi, dall'aria solitaria e dagli occhi scintillanti», che è poi Pozdnyšev. Costui in seguito si ritrova nello scompartimento da solo con lo sconosciuto narratore, al quale inizia a raccontare la sua storia. Oltre a rievocare gli anni dell'unione coniugale, con i suoi rituali, i suoi gesti, le sue convenzioni e le sue ipocrisie, Pozdnyšev confessa il proprio terribile segreto. Dopo aver presentato alla moglie un musicista, egli inizia a sospettare una relazione tra i due. In particolare, una sera, mentre i due eseguono l'uno al violino, l'altra al pianoforte la Sonata a Kreutzer di Ludwig Van Beethoven, l'uomo avverte l'intero peso dei propri dubbi. Tuttavia, convinto che il musicista stia per partire ed uscire per sempre dalla sua vita, Pozdnyšev si assenta di casa alcuni giorni per curare i propri affari in provincia. Una lettera della moglie, ricevuta due giorni dopo la partenza, riaccende la gelosia dell'uomo: il violinista non è partito e le ha già fatto visita. Pozdnyšev ritorna precipitosamente a casa, dove arriva in piena notte. Trovandola a tavola con il musicista, in preda alla rabbia, l'uomo pugnala la moglie. Pozdnyšev si rende conto della gravità del misfatto soltanto alcuni giorni dopo, quando viene condotto presso il tumulo della moglie. Al termine del proprio racconto, congedandosi, il disperato uxoricida implora il perdono del proprio compagno di viaggio. Il dubbio sull'effettivo tradimento della moglie non è svelato da Tolstoj: se la donna avesse davvero voluto tradire il marito, perché avvertirlo della presenza del musicista, quando le era ben nota la gelosia di Pozdnyšev per quest'uomo? Sembra altrettanto inverosimile che la moglie voglia davvero consumare un rapporto extraconiugale sotto gli occhi dei figli, della balia e della servitù, senza la minima precauzione. Allo stesso tempo la visita ad una donna sposata in piena notte nella Russia di fine Ottocento, così come l'evidente intesa tra lei ed il musicista, forte di un'educazione libertina nei salotti parigini, non possono non generare il sospetto sulla natura del loro rapporto.

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S'era all'inizio della primavera. Noi viaggiavamo da due giorni. Nella vettura ferroviaria entravano e uscivano passeggeri, ma tre di essi soltanto viaggiavano con me dal luogo di partenza del treno: una signora nè bella nè giovane, che fumava molto, con un viso smunto, un mantello e un berretto di pelliccia di foggia quasi maschile; il suo compagno, un uomo sulla quarantina, discorsivo, che aveva valige nuove e di buona apparenza; e poi un altro signore che si teneva in disparte, piuttosto basso di statura, dai movimenti bruschi, non vecchio ancora, coi capelli ricciuti fatti grigi da un evidentemente precoce incanutimento e con gli occhi straordinariamente luccicanti, che passavano con rapidità da un oggetto all'altro. Egli indossava un vecchio pastrano con pelliccia che doveva essere stato fatto da un sarto dai prezzi cari, e aveva un alto berretto anche di pelliccia. Di sotto al pastrano, quando lo apriva, si vedeva una sottoveste e una camicia russa ricamata. La particolarità di questo signore consisteva in ciò, che ogni tanto egli emetteva strani suoni che somigliavano a colpetti di tosse o a scoppi di risa repressi.
Questo signore per tutto il tempo del viaggio aveva ostinatamente sfuggito ogni rapporto con gli altri passeggeri. Al suo discorsivo vicino rispondeva con parole brevi e recise, e, o si metteva a leggere o, guardando fuori dal finestrino, fumava, o, cavando dalla sua vecchia sacca alcune provviste, beveva o mangiucchiava qualcosa.  Mi pareva che egli soffrisse di quell'essere così appartato e più volte avevo voluto discorrere con lui, ma ogni volta, quando i nostri occhi s'incontravano, il che accadeva spesso, visto che eravamo seduti di traverso uno di faccia all'altro, egli si voltava in là e prendeva un libro o si metteva a guardare fuori dal finestrino.  Verso la sera del secondo giorno, nel tempo di una fermata in una grande stazione, questo nervoso signore fece bollire dell'acqua e si preparò del the. Invece il signore dalle belle valige nuove, un avvocato, come seppi più tardi, scese a prendere il the alla stazione con la sua vicina, la signora che fumava e aveva il mantello e il berretto quasi da uomo.

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