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Stendhal, La badessa di Castro

8/9/2013

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La badessa di Castro è un romanzo breve, pubblicato a Parigi nel 1839, da Henri-Marie Beyle, meglio noto col nome di Stendhal (1783-1842). La storia narra l'amore travagliato tra la fanciulla di illustri origini, Elena di Campireali, costretta a farsi suora, e il brigante Giulio Branciforti, sullo sfondo della campagna tirrenico-romana della metà del Cinquecento. I critici letterari lo ritengono un primo, ben riuscito, tentativo di scrittura di un nuovo filone artistico che troverà il suo più completo esemplare nel successivo La Certosa di Parma. La storia ha un fondamento storico. Pare che Stendhal si fosse ritrovato in possesso di alcune carte contenenti informazioni su pene capitali e relazioni di omicidi. Di questi curiosi documenti si era fatto trascrivere quattro cronache in particolare: "Vittoria Accoramboni", "I cenci", "La duchessa di Palliano" e "La badessa di Castro", pubblicate in rivista e poi, nel 1839 in un unico libro...
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Il melodramma italiano ci ha mostrato così spesso i briganti del Cinquecento, e tanta gente ne ha parlato, senza conoscerli, che noi abbiamo intorno ad essi le idee più false.  Si può dire, in generale, che i briganti costituirono l'"opposizione" contro gli atroci governi che in Italia succedettero alle repubbliche del Medioevo. Il nuovo tiranno fu di solito il più ricco cittadino della defunta repubblica, il quale, per accattivarsi il favore del basso popolo, ornava la città di splendide chiese e di bei quadri.  Tali furono i Polentani di Ravenna, i Manfredi di Faenza, i Riaro di Imola, gli Scaligeri di Verona, i Bentivoglio di Bologna, i Visconti di Milano, e finalmente i meno bellicosi e i più ipocriti di tutti, i Medici di Firenze. Nessuno tra gli storici di questi piccoli stati ha avuto il coraggio di raccontare gli avvelenamenti e gli innumerevoli assassinii ordinati dalla paura che tormentava quei tirannelli: quei pesanti storici erano al loro soldo.
Notate che ogni tiranno conosceva uno per uno i repubblicani da cui si sapeva esecrato (Cosimo granduca di Toscana, per esempio, conosceva lo Strozzi) e che parecchi tiranni morirono assassinati, e allora comprenderete la serietà del Cinquecento, l'odio profondo e l'eterna diffidenza che diedero tanto ingegno e tanto coraggio agli Italiani del Cinquecento e tanta genialità agli artisti di quel secolo.
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Stendhal, La Certosa di Parma

9/8/2011

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Traduzione di Ferdinando Martini. Introduzione di Enrico Panzacchi. La Certosa di Parma è un classico della letteratura francese. Ambientato nell'Italia napoleonica, si svolge tra battaglie e passioni d'impronta arcatamente italica. La magistrale traduzione di Ferdinando Martini e l'ampio saggio introduttivo di Enrico Panzacchi fanno da corollario a questo capolavoro della letteratura. Stendhal, pseudonimo di Marie-Henri Beyle, (1783-1842) è uno dei più grandi scrittori francesi del XIX secolo. Tra le sue opere: La Chartreuse de Parme, Le Rouge et le Noir, L'Abbesse de Castro, Rome, Naples et Florence.

I libri dello Stendhal sull’Italia, che formano la parte più voluminosa del suo bagaglio letterario, sono pieni zeppi di osservazioni acute, di pensieri imprevisti, non di rado strani e paradossali, ma sempre suggellati da una nota di esperienza personale che dà loro autorità. Perfino quelli che si sogliono chiamare i luoghi comuni della ammirazione intorno a luoghi e monumenti mille volte descritti, balzano nuovi e freschi dalla sua matita. Pare che immerga ogni cosa in una specie di fontaine de Jouvence, la quale non è poi altro che la sua calda sincerità d’artista, accompagnata da una indomita libertà di giudizio. ... L’amore per lo Stendhal fu sempre “il grande affare della vita”. Anche l’ideale della gloria militare, che di tanto in tanto esalta il suo spirito, viene in secondo luogo; e forse, scrutandolo a fondo, non era per lui che un coefficiente dell’amore. Il valore degli uomini egli lo misurava dalla energia del loro sentimento e dalla “sincerità” con cui riescono a manifestarla. In questi due punti egli faceva consistere la bontà del carattere italiano. La eccellenza nelle arti (nella pittura e nella musica sopratutto) venivane come conseguenza, date alcune condizioni storiche favorevoli, di questa indole energica, passionata e sincera. Su queste idee lo Stendhal, qualunque argomento tratti, torna incessantemente nei suoi libri, perché non vi è forse scrittore come lui che si ripeta senza fine e che, non ostante, abbia il segreto di non riuscirci di peso e monotono. Enrico Panzacchi

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Il 15 maggio 1796 il general Bonaparte entrò a Milano alla testa del giovine esercito che aveva varcato il ponte di Lodi e mostrato al mondo come dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avessero un successore.

I miracoli d'ardimento e d'ingegno che l'Italia vide compiersi in pochi mesi risvegliarono un popolo addormentato: otto giorni avanti che i Francesi giungessero, i Milanesi li credevano un'accozzaglia di briganti usi a scappar di fronte alle truppe di Sua Maestà Imperiale e Reale, che questo diceva e ripeteva tre volte la settimana un giornalucolo grande come il palmo della mano e stampato su una sudicia carta.

Nel Medioevo i Milanesi furon prodi quanto i Francesi della rivoluzione e meritarono di veder la loro città rasa al suolo dagli imperatori tedeschi. Da quando divennero «sudditi fedeli», loro cura suprema era lo stampar sonetti su pezzoline di taffetas rosa per celebrar le nozze di qualche fanciulla nobile o ricca. La quale fanciulla, due o tre anni dopo quel gran giorno della sua vita, si prendeva un cavalier servente: qualche volta il nome del cicisbeo, scelto dalla famiglia del marito, era perfino onorevolmente registrato nel contratto di matrimonio. Che differenza tra questi costumi effeminati e le commozioni profonde suscitate dal giungere impreveduto dell'esercito francese! Costumi nuovi non tardarono a sorgere, passioni nuove a manifestarsi; e tutto un popolo, il 15 maggio 1796, si accorse che quanto aveva fino allora circondato del suo rispetto era sovranamente ridicolo, odioso talora.

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