Malombra è un romanzo scritto da Antonio Fogazzaro nel 1881. Il romanzo è ambientato nel 1864 in un luogo non ben precisato. L’autore lo indica con una semplice lettera puntata: R. Si sa che è sulle rive di un lago lombardo, presumibilmente il piccolo lago del Segrino, tra Como e Lecco. Il Palazzo è invece la villa Pliniana, sul Lago di Como, visitata da Fogazzaro e la cui tetra atmosfera ben si adattava al mondo decadente dello scrittore. Una parte del romanzo si svolge anche a Milano. I protagonisti sono Corrado Silla e Marina Crusnelli di Malombra. Nella prima parte sono presenti entrambi, nella seconda solo Marina, nella terza solo Corrado, nella quarta, infine, di nuovo entrambi. Il carattere dei personaggi verrà puntualmente ripreso nei romanzi successivi: l'intellettuale idealista mortificato dall'inettitudine, l'aristocratica, sensuale e psicotica protagonista, lo schietto umorismo dei personaggi minori, di gusto provinciale, che mitiga il drammatico svolgimento della storia. Il libro fu ignorato dalla maggior parte delle riviste letterarie ma lodato da Verga, che lo definì una delle più belle concezioni romantiche mai apparse in Italia. Mario Soldati ne trasse l'omonimo film (1942).
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Uno dopo l'altro, gli sportelli dei vagoni sono chiusi con impeto; forse, pensa un viaggiatore fantastico, dal ferreo destino che, ormai senza rimedio, porterà via lui e i suoi compagni nelle tenebre. La locomotiva fischia, colpi violenti scoppiano di vagone in vagone sino all'ultimo: il convoglio va lentamente sotto l'ampia tettoia, esce dalla luce dei fanali nell'ombra della notte, dai confusi rumori della grande città nel silenzio delle campagne addormentate: si svolge sbuffando mostruoso serpente, tra il labirinto delle rotaie, sinché, trovata la via, precipita per quella ed urla, tutto battiti dal capo alla coda, tutto un tumulto di polsi viventi.
V'ha poca probabilità d'indovinare che cosa pensasse poi quel viaggiatore fantastico, rapito tra fiotti di fumo, stormi di faville, oscure forme d'alberi e di casolari. Forse studiava il senso riposto dei bizzarri ed incomprensibili geroglifici ricamati sopra una borsa da viaggio ritta sul sedile di fronte a lui; poiché vi teneva fissi gli occhi, di tanto in tanto moveva le labbra, come chi tenta un calcolo, e quindi alzava le sopracciglia, come chi trova di riuscire all'assurdo.
Eran già passate alcune stazioni, quando un nome gridato, ripetuto nella notte, lo scosse. Una folata d'aria fresca gli disperse le fila sottili del ragionamento; il convoglio era fermo e lo sportello aperto. Egli discese in fretta; era il solo viaggiatore per...
“Signore” disse una voce rauca e vibrata “è Lei che va dai signori del Palazzo?”
Questa domanda gli fu tratta a bruciapelo da un uomo che gli si piantò di fronte con la sinistra al cappello e una frusta nella destra.