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Roberto Staiano, La strega di Toledo

7/29/2013

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Sullo sfondo della Penisola iberica si muove il racconto di Galadriel, medico eccentrico. La peste, il regno di Carlo V, la Santa Inquisizione, tutto nel cerchio di una rincorsa dove la fuga è il primo motivo per ritornare, dove nel lasciare si recupera il senso degli affetti perduti. L’imprevisto emozionale di ogni esperienza racchiude però direzioni incognite e rimbalzi pericolosi: Maria o Miriam, verso una Marsiglia culla e riparo, un forziere con la chiave misteriosa. Ferite, delusioni si alternano ai tentativi di una ricerca di equilibrio. Galadriel, che da persona di fiducia dell’Imperatore si vede piombato nell’inferno della persecuzione inquisitoria, spinto alla fuga e persi gli affetti più cari, attraversa la Spagna incrociando i destini di altri esseri umani che come lui percorrono le strade della propria vita. Un mercenario, due streghe, un padre e una figlia da ricongiungere, un misterioso forziere che contiene un grande tesoro per un popolo perseguitato privo di una terra sua.

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Il regno della lettura
pagina di letteratura e recensioni
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L’apertura della grotta si affaccia su una piccola radura lungo il cui limite comincia la foresta, il cielo è grigio ed il sole è coperto da un velo di nuvole cariche di pioggia, la Sierra de Gredos è una catena montuosa della Spagna che appartiene al Sistema Centrale, una cordigliera che si trova nel cuore della penisola iberica, lunga 600 km arriva fino in Portogallo.
In quel periodo dell’anno le vette sono coperte di neve ed i passaggi chiusi dai ghiacci, Galadriel è li, nell’oscurità della grotta davanti un fuoco, completamente avvolto dal suo mantello.
Fino a due settimane prima aveva lunghi capelli neri, se ne ricorda ogni volta che istintivamente si passa una mano sulla testa ma trova solo cute liscia.
Questo è uno dei tanti momenti in cui la mente si squarcia per riportarlo al passato, un passato nemmeno troppo lontano in cui quando usciva dalla sua casa le persone in strada lo salutavano sorridendo, alzando la mano o avvicinandosi per stringergliela.
Sospira Galadriel, chiude gli occhi verdi prendendosi il viso tra le mani.
L’ultima volta che qualcuno è andato a cercarlo era preceduto da una torcia e seguito dai forconi.
La paura lo ha spinto fino alla cima della Plaza del Moro Almanzor che misura 2900 metri, sta fuggendo...

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Lara Pavanetto, La strega di Montona

7/24/2013

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Un antico documento conservato nell’Archivio di Stato di Venezia, riporta il caso misterioso e lontano nel tempo, della moglie di un podestà veneziano, Diletta, che nel 1200 finì la sua vita bruciata sul rogo come strega, nella piazza principale di Montona, in Istria. La vicenda si tinge di giallo, perché fu lo stesso marito a denunciarla e a condannarla. Egli fu sospettato dalle stesse autorità veneziane di uxoricidio, ma riuscì, tramite le sue conoscenze e parentele importanti a cavarsela. Proprio attraverso le accuse mosse alla moglie, all’analisi delle sue magie e stregherie puntualmente riportate nel documento, si può risalire al vero motivo che portò la moglie del podestà sul rogo e forse, risolvere il giallo.

Negli anni in cui si svolge la vicenda, è doge di Venezia Lorenzo Tiepolo (1268-1275). Era stato eletto dopo la morte di Renier Zeno, il cui dogado era stato contrassegnato dagli scontri con Genova per il predominio del commercio in oriente. Lorenzo Tiepolo era stato ammiraglio della flotta veneziana, aveva combattuto a Tiro contro i genovesi e aveva portato a Venezia molte parti del monastero di San Saba, che era appunto stato oggetto del contendere con i genovesi. Alcune colonne di questo monastero sono ancora oggi visibili a Palazzo Ducale, davanti alla Porta della Carta.

Lorenzo Tiepolo fu il primo doge ad essere eletto con un nuovo sistema, destinato a durare poi senza sostanziali mutamenti fino alla caduta della Repubblica. Si trattava di un sistema complicato: il consigliere più giovane del Maggior Consiglio, scendeva nella chiesa di San Marco e prendeva con sé un bambino fra gli otto e i dieci anni, il primo nel quale si fosse imbattuto. Lo nominava “ballottino”, addetto cioè all’estrazione delle “ballotte”, le palle che si usavano per le votazioni. Queste venivano disposte in un cappello di panno come un’urna, ed erano tante quanti erano i membri del Maggior Consiglio. Solo in trenta di queste palle, era inserito un bigliettino con la scritta elector. Il bambino, una volta bendato, estraeva le palle e le consegnava una alla volta ai membri del Maggior Consiglio che sfilavano davanti a lui. I trenta che erano estratti, dovevano appartenere a famiglie diverse e non essere legati da alcun vincolo di parentela. I non estratti abbandonavano la sala, e tra i trenta rimasti avveniva un sorteggio con lo stesso sistema, in modo che ne rimanessero nove. Questi nove si riunivano per eleggere quaranta membri del Maggior Consiglio usando delle schede. Per risultare eletti bisognava ottenere almeno sette voti. Con i quaranta nomi risultanti si tornava all’estrazione per eleggerne venticinque, i quali nuovamente sorteggiati erano ridotti a nove. Questi nove erano a loro volta incaricati di sceglierne quarantacinque. Vi era dunque una nuova estrazione a sorte. Ne restavano undici, e questi undici eleggevano con un quorum di almeno nove voti, i quarantuno elettori del doge. E finalmente, i quarantuno, chiusi in Palazzo Ducale, in conclave, procedevano alla nomina del doge, che non poteva avere meno di venticinque voti.

Lorenzo Tiepolo era figlio del doge Jacopo Tiepolo (1229-1249), cognato di un re (la moglie era probabilmente figlia del re di Romania), e un gran generale da mar. Il suo dogado significò un periodo di importanti decisioni politiche per Venezia. Una volta sistemati i rapporti con Genova e con Bisanzio nella pace di Cremona del 1270, il doge Tiepolo si impegnò a fortificare e tutelare il dominio veneziano sull’Adriatico. A questo scopo fu istituita una squadra di vigilanza sotto il comando di un “Capitano del golfo”, per un severo controllo delle coste dell’Istria e delle Marche, per impedire il contrabbando e garantirsi la riscossione dei diritti doganali.

La storia della “strega” Diletta e di suo marito Tommaso Michiel, si inserisce in questa grande cornice, restituendoci un affresco della Venezia medievale e della sua politica di espansione nel mare Adriatico.

Tommaso Michiel e il fratello Marco, furono attori di questa politica in Istria. Ma sedettero anche nel Maggior Consiglio della Repubblica.

Il documento, l’unico, che ha attraversato i secoli e che racconta la storia della “strega” Diletta, era già stato edito nel 1886, senza però suscitare alcuna eco. Nel 1992, un prezioso saggio del professor Marco Pozza1 fece conoscere ad un pubblico più vasto la vicenda. Tuttavia, non era specifico interesse del professore approfondire e ricostruire il mondo di Diletta, la strega, e tentare di scoprire il vero motivo della sua fine. Queste sono state invece, le mie motivazioni principali.
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