Federigo Tozzi si occupò sempre della sua amata Siena, a cui dedicò diversi scritti: Antologia d’antichi scrittori senesi (1913), Mascherate e strambotti della Congrega dei Rozzi di Siena (1915), Le cose più belle di Santa Caterina (1918). Tra i primi componimenti poetici si ricordano: La zampogna verde del 1911, di chiara impronta dannunziana, e il poema La città della vergine del 1913. Tozzi, con l’amico Domenico Giuliotti, prese parte al progetto della rivista «La Torre», portavoce di un cattolicesimo reazionario.
Nel 1914 si trasferì a Roma dove collaborò con il «Messaggero della domenica» e conobbe alcune importanti personalità del mondo letterario, come Luigi Pirandello e Giuseppe Antonio Borgese. Federigo Tozzi cominciò qui a lavorare ai romanzi e alle novelle che gli diedero una discreta notorietà e per cui è annoverato tra le avanguardie della narrativa italiana del periodo. Con gli occhi chiusi ebbe una lunga genesi, come molte altre sue opere: fu iniziato nel 1913 ma edito solamente nel 1919. Tre croci vide le stampe tra il 1918 e il 1920. Postumi: Ricordi di un impiegato, Il podere, Gli egoisti. Tozzi fu anche autore di novelle e di teatro.
Anche in quest’ultimo romanzo, come nei precedenti, Con gli occhi chiusi e Tre croci, sono centrali biografismo e ambientazione borghese e provinciale. Inoltre, fa da sfondo alla narrazione, specie degli interni familiari, il fenomeno dell’urbanesimo, colto nel dissidio esistenziale fra attaccamento alla terra e incapacità di vivere la città quale naturale luogo dell’uomo moderno. I protagonisti dei romanzi di Tozzi restano drammaticamente incapaci allo stesso tempo di ricostruire un legame diretto con la Natura ovvero di sfuggire al loro destino di sradicamento. La visione pessimistica di Tozzi, dunque, continua ad essere protagonista; un pessimismo che si allarga e si fa più profondo. Il mondo è sempre di più dominato dall’egoismo, dall’odio e dalla vendetta; i valori cristiani e qualsiasi legame di solidarietà umana appaiono irrevocabilmente respinti. E Tozzi, ancora una volta, non indica cause di natura politica, storica o sociale. Berto non uccide Remigio per alcun apparente motivo sociale o individuale; egli è mosso alla violenza da un’incontenibile pulsione all’odio e alla violenza che resta insieme inesorabile e misteriosa.
Ancora più approfondito è il pessimismo in quest’opera rispetto alle precedenti, perché Remigio, a differenza di altri protagonisti tozziani, non è un inetto, ma conserva nell’intimo una personale volontà di resistenza e di lotta.